Possiamo considerarci fortunati se le due ante dell’organo di S. Maria dipinte da Ferramola e Moretto siano pervenute in soddisfacente conservazione dei loro 486 anni di esistenza, ed ancora nella loro funzione originaria di protezione e di completamento alla cassa dell’organo, immuni dagli smembramenti toccati ad altri consimili arredi divenuti quadri d’ornamento di musei o chiese, “raddoppiati” con la separazione del recto dal verso. Sono oramai note le rischiose vicende delle nostre due ante: eseguite per il Duomo Vecchio di Brescia, ed inaugurate il 15 agosto 1518, unitamente alla cassa dell’organo di Stefano Lamberti ed allo strumento di Bartolomeo Antegnati. Ivi rimasero sino al 1537, sostituite dai dipinti del Romanino e trasferite con l’organo nell’attigua Basilica Cattedrale di S. Pietro de Dom. Emigrate finalmente a Lovere prima della demolizione del S. Pietro avvenuta nel 1604, furono acquistate, forse direttamente da parte della comunità locale per la Basilica di S. Maria. Non risulta a tutt’oggi documentazione in merito: soltanto due documenti tardivi ci confermano l’esistenza e l’attuale posizione dell’organo in S. Maria e la contemporanea presenza dell’antico positivo nella prima arcata sinistra. Il primo cenno è in una antica planimetria della Basilica datata 1687, disegnata e firmata da un Gian Battista Sacella, forse un appartenente alla famiglia dello scultore Simone Sacella, autore del portale di S. Giorgio, datato 1655. Dalla planimetria risulta che l’organo occupa l’attuale posizione.Un’altra notizia è contenuta in una relazione del delegato provinciale al Senato di Venezia del 26 agosto 1688 che descrivendo la Basilica dice: “…quadri, ornamenti preziosi in detta chiesa, organo sontuoso ornato di famose pitture entro e fuori…” (archivio di Stato di Venezia: Senato – Terra, Filza 1116). Testimonianza più antica si può dedurre dalla addizione muraria per allogarvi i mantici dello strumento: una “scarsella” che si accorpa alla preesistente cappella di S. Francesco, distinguibile per il cambio di muratura particolarmente vistoso nell’interno e che costituisce con il contiguo volume della sacrestia un nuovo gradevole movimento di masse aggregate all’abside. L’aggiunta ha comportato la chiusura di un lungo finestrone centinato nella parete destra del presbiterio, pesante modifica alla luminosità compensata con l’apertura di due finestre molto alte, necessarie ad illuminare l’abside ed il presbiterio. Veniva così a ripristinarsi la fonte luminosa necessaria per la visibilità delle ante, oltretutto la medesima proveniente da sinistra come nel Duo mo Vecchio di Brescia e della quale i due pittori Ferramola e Moretto avevano tenuto conto nell’eseguire le quattro tele. La cantoria è del primissimo Seicento, evidentemente contemporanea all’arrivo delle ante in S. Maria; ha parapetto ligneo a tre scomparti frontali, or ora restaurati, dipinti a riquadri con rosoni classici e rimessi in luce dopo la rimozione dei mediocri pan
nelli tardosecenteschi raffiguranti Angeli musicanti, opera di un pressoché ignoto pittore locale Antonio Moroni, ed oggi disposti in Sacrestia. La cospicua volumetria del complesso non ostacola la chiarezza spaziale e la continuità della visione dell’interno non spingendosi eccessivamente sul vuoto del presbiterio ed avendo dimensioni proporzionate alla parete della campata ove è collocato. L’acquisto delle ante ha costituito una singolare fortuna per S. Maria, ove già nel 1514 l’intervento del Ferramola era stato determinante per l’assetto decorativo degli interni. L’Annunciazione, di quattro anni più tarda, veniva qui a completare l’opera del Pittore evidenziando marcatamente l’unità stilistica e cromatica fra la decorazione della navata e l’Annunciazione; e così pure i comuni aspetti di derivazione bramantesca quali i dodici tondi degli Apostoli, visti come oculi prospettici inseriti nei pennacchi delle arcate, e la stessa Annunciazione ambientata – all’uso nordico – in un luogo sacro, nel nostro caso l’interno di un tempietto bramantesco a pianta centrale con cupola. Si adeguano perfettamente all’ambiente, anche se di ben altra qualità rispetto all’opera del Ferramola, gli interni delle ante raffiguranti i Santi Faustino e Giovita a cavallo, dipinti dal giovanissimo Moretto, poco più che ventenne, evidentemente influenzato dal Romanino. I due cavalieri sono presentati dal Moretto entro una struttura ispirata all’arco trionfale romano a tre fornici, evidente richiamo ai due Santi protettori della città che secondo la leggenda sarebbero apparsi durante l’assedio posto da Nicolò Piccinino nel 1438 vestiti da guerrieri e non più da diaconi come nell’antica iconografia, nell’atto di respingere le palle di cannone degli assedianti arrestatesi sulle mura della città e qui presentate nelle arcate a mo’ di rosoni decorativi. La composizione è monumentale in rispondenza all’ampio respiro della Basilica ed al solenne impianto decorativo a cassettoni della volte centrale: è la stessa sensibilità spaziale che presiede all’opera dipinta ed all’opera costruita. I loveresi non possono che dichiararsi riconoscenti ai loveresi d’allora che, dovendo provvedere ad un nuovo organo della Basilica, hanno preferito, pure in ambiente ormai barocco, optare per una scelta forse giudicata antiquata o fuori moda nei primi anni del Seicento, ma l’unica possibile, per misura, volumetria e carattere, ad inserirsi coerentemente nell’ambiente rinascimentale di S. Maria. Fortunate le due ante, uscite indenni (… o quasi) dai ripetuti viaggi di andata e ritorno Brescia-Lovere per mostre d’arte ove nel 1946 ebbero un primo intervento conservativo voluto dalla Sovrintendenza di Milano alla loro uscita dal rifugio antiaereo dopo l’ultimo conflitto. Vennero ricollocate in S. Maria nel luglio 1947 in occasione dell’ingresso del nuovo Prevosto Mons. Lorenzo Lebini. Ritornano ora in S. Maria, reduci dalla mostra bresciana del Foppa, esemplarmente restaurate da Gian Maria Casella, unitamente ai due tondi dell’arcata e al medaglione del coronamento, per meritorio intervento del Comune di Brescia e dei Musei bresciani cui la comunità loverese deve essere molto grata. Il delicato restauro, avvenuto a Brescia sotto la sorveglianza della dott.ssa Amalia Pacìa, ispettore della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Milano, è consistito nella suturazione di alcune lacerazioni, con conseguenti stuccature, lievi reintegrazioni delle parti sgranate, il consolidamento della pellicola pittorica e la pulitura da vecchie polveri penetrate in profondità, per cui le due tempere hanno oggi riacquistato l’originaria cromia e la brillantezza di alcuni colori, ma non purtroppo le punteggiature d’oro inserite su alcune zone delle vesti, andate perdute da tempi immemorabili. Dovrebbe ora seguire l’intervento del Comune di Lovere per il restauro urgente ed improrogabile dell’Organo: purtroppo non dell’antico Antegnati, andato disperso da secoli, ma dell’attuale strumento parimenti pregevole, opera nella massima parte dell’organaro bergamasco Francesco Bossi datato al 1789. Sarà un’ulteriore dimostrazione dell’impegno dei loveresi per il graduale restauro della loro Chiesa Parrocchiale, edificio di innegabile suggestione e documento della religiosità e della civiltà dei loro concittadini del XV secolo.
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S.Maria. Visibile l'aggiunta secentesca |

Planimetria: organo e cantoria, mantici |

Interno con l'organo |
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