La Voce di Lovere
Anno 64, numero 2
Aprile 2011




La Voce di Lovere, Aprile 2011
Vita ecclesiale
San Paolo: l'udienza pubblica a Cesarea

Floriana  Stevanin
 
SAN PAOLO: L'UDIENZA PUBBLICA A CESAREA

L’interrogatorio pubblico di Paolo voluto dal procuratore romano Festo (1) rappresenta per gli invitati una occasione mondana di incontro: il giovane re Agrippa (2) e Berenice giungono nella sala delle udienze con molto fasto, informa Luca, accompagnati dalle autorità civili e militari e dai cittadini più in vista di Cesarea; fra loro molti hanno sentito parlare di quel prigioniero che per due anni ha intrattenuto colloqui su temi religiosi con un uomo potente e temibile come il precedente procuratore Antonio Felice. Festo fa introdurre il prigioniero e lo presenta dicendo che i Giudei con insistenza ne hanno chiesto la condanna a morte; lui non lo ritiene meritevole di una tale pena però, essendosi l'imputato appellato a Cesare, ora deve stendere un rapporto ma, poiché non ha nulla di preciso da scrivere al sovrano, chiede la collaborazione del re e dei presenti per avere, dopo questa udienza, qualcosa da scrivere poiché gli sembra assurdo mandare a Roma un prigioniero senza indicare le accuse che si fanno contro di lui. (Atti, c 25)
Agrippa invita Paolo a difendersi e lui, davanti a un pubblico che si è radunato apposta per ascoltarlo, più che a difendersi pensa a non sprecare l'occasione inaspettata di parlare della fede in Cristo, il Messia atteso dai Giudei; è in catene ma, più che un imputato, appare come l’inviato di Dio, pronto a svolgere la propria missione dovunque si trovi e in ogni occasione, anche durante un’udienza in tribunale.
Paolo sa che il pubblico convenuto, influenzato dal giudizio assolutorio espresso da Festo, non gli è ostile, che è interessato a conoscere la sua vicenda giudiziaria controversa, e che sarà attento alle sue parole, dal momento che Festo desidera conoscere il parere di tutti per la formulazione del verbale da inviare a Nerone.Anche Festo non nutre alcuna ostilità nei confronti di Paolo, anzi ne ha potuto constatare la tempra e la grande cultura.

L’autodifesa di Paolo
Il suo discorso è sobrio, essenziale, sapientemente costruito, teso a catturare l'attenzione di quell’assemblea curiosa, ma colta, raffinata ed esigente in materia di oratoria. Però gli preme che le sue parole vengano comprese soprattutto dal re, e a lui si rivolge direttamente durante tutto il suo discorso: esordisce esprimendogli la propria soddisfazione di poter esporre proprio davanti a lui, che conosce le usanze e le questioni riguardanti i Giudei, le vicende che lo hanno portato a questa situazione: ha vissuto da giudeo, dice Paolo e, sin dalla giovinezza, da fariseo osservante; ed ora si trova sotto processo perché accusato dai Giudei di credere che le promesse fatte dai profeti ai padri si sono realizzate nel Messia Gesù il Nazareno. Ha fatto conoscere Cristo perché Cristo gli ha manifestato la Verità.
Anche lui, come tutti i Giudei, all'inizio ha considerato la fede in Cristo un’eresia da estirpare, infliggendo persecuzioni e morte; ma mentre stava dirigendosi a Damasco, Cristo lo ha chiamato in modo perentorio, e gli ha affidato la missione di portare la luce e la liberazione da satana ai popoli pagani, per portare anche loro ad essere degni del Regno di Dio: questa è la sua colpa davanti ai Giudei, che tentarono di ucciderlo; ma l'aiuto di Dio lo ha protetto fino a questo giorno, e gli ha permesso di rendere ancora testimonianza agli umili e ai grandi.
E conclude il discorso con le solenni parole: “Null’altro io affermo se non quello che i Profeti e Mosè dichiararono che doveva accadere, che cioè il Cristo sarebbe morto e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe annunziato la luce al popolo e ai pagani”.
Per il pagano Festo, che pure lo stima, questa affermazione è inaccettabile, come lo era stata per gli Ateniesi, e lo apostrofa gridando: “Sei pazzo, Paolo, la troppa cultura ti ha portato alla follia” (3); Paolo risponde coinvolgendo in un dialogo serrato il re Agrippa: “non sono pazzo, eccellentissimo Festo, ma sto dicendo parole vere e sagge, il re è al corrente di queste cose e davanti a lui parlo con tutta franchezza. Penso che niente di questo gli sia sconosciuto, poiché non sono fatti accaduti in segreto”.
E lo provoca con decisione: “Credi, o re Agrippa nei profeti? So che ci credi”. Si sono capovolti i ruoli: ora è l’imputato che esige una risposta. Agrippa si sottrae all’incalzare dialettico di Paolo con una frase che, comunque la si voglia interpretare, lascia intravedere quanto incisivo sia stato per lui quel discorso sulla fede: “Per poco non mi convinci a farmi cristiano!” E Paolo “Per poco o per molto, io vorrei supplicare Dio che non soltanto tu, ma quanti oggi mi ascoltano diventassero così come sono io, eccetto queste catene!”.
La seduta è conclusa; tutti si allontanano dicendosi convinti dell’innocenza di Paolo; mentre Agrippa esprime a Festo il proprio rammarico: “Costui poteva essere rimesso in libertà, se non si fosse appellato a Cesare” (Atti, c 26).

Duro è per te recalcitrare contro il pungolo
Paolo, riproponendo nella sala delle udienze le prime parole pronunciate da Gesù nella straordinaria teofania avvenuta sulla via di Damasco, aggiunge una frase che non aveva detto due anni prima, mentre ricordava lo stesso evento davanti al popolo di Gerusalemme; ora dice che Gesù, immerso in una luce sfolgorante, dopo averlo fermato con le parole pronunciate in ebraico “Saul, Saul, perché mi perseguiti?” aveva aggiunto: “Duro è per te recalcitrare contro il pungolo”.
Si tratta della citazione di una frase che soltanto un pubblico colto come quello riunito in tribunale a Cesarea poteva comprendere, perché compare in alcune opere del teatro classico greco, a quel tempo ancora rappresentate, dove il “pungolo” simboleggiava la forza coercitiva degli dei, che costringe gli uomini ad agire contro la loro volontà, come avviene per l'animale che invano recalcitra sotto i colpi della sferza (4). La frase potrebbe essere entrata, col tempo, nell’uso comune, come proverbio; a noi interessa perché l’ha pronunciata Gesù e perché Paolo non l’ha più dimenticata e, con tutte le parole dette da Gesù e con tutto ciò che è avvenuto in occasione dell’incontro sulla via di Damasco, ha costituito il punto di partenza e di costante riferimento della sua conversione, del suo pensiero, di tutta la sua opera, del suo apostolato.
A Cesarea, presentando i momenti salienti della propria vita e della propria fede dopo l'incontro con Cristo, induce i suoi ascoltatori a vedere nel “pungolo” una cosa completamente nuova, non un “bastone” che forza la volontà umana, ma la Grazia divina apportatrice di salvezza per tutti gli uomini (5), la potenza straordinaria che proviene da Dio (6), che diviene energia di vita in chi la riceve e se ne appropria, e che sospinge a vivere e a diffondere con gioia la Parola di Verità.Ai pagani e ai giudei che lo stanno ascoltando, Paolo testimonia che la Grazia di Dio, il pungolo che sprona, è la forza sconfinata e benefica del suo Amore, è il respiro e la Parola di Dio che ti penetra, ti scuote, ti riempie, ti plasma al punto che non sei tu, ma Dio che parla in te; Dio è in te e, pur avendo la massima libertà, senti che la tua libertà si espande con gioia in questo mare di amore: necessità mi spinge, e guai a me se non predico il vangelo! aveva scritto ai Corinzi (7). La vocazione divina include la libera scelta dell'uomo a collaborare all’opera di salvezza: Paolo ha accolto la chiamata divina, la grazia, come dono di amore e di pace, un dono tanto benefico da indurlo, con tutti gli uomini che credono in Cristo, a rispondere a Dio con il Suo stesso linguaggio di donazione, di perdono e di pace. Sulla via di Damasco Paolo ha compreso l’immensità e la gratuità dell’amore di Dio, e questo ha reso necessario, indispensabile seguire Cristo, uniformare le proprie scelte alle scelte divine.
Alla forza dirompente di quel pungolo non può sottrarsi chi aderisce alla Verità della Parola, come non poté sottrarsi Paolo.
Floriana Stevanin


(1) Il procuratore Festo era subentrato adAntonio Felice nel 59-60; morì nel 62.
(2) Agrippa II, pronipote di Erode il Grande; gli imperatori Claudio e Nerone gli avevano concesso di regnare su una parte del regno del bisnonno; il resto della Palestina era governata da un magistrato romano.Aveva al tempo dell’incontro con Paolo 32- 33 anni.
(3) Festo dice nel testo greco “pollà gràmmata”, cioè “le troppe conoscenze”.
(4) C. P. Thiede, La nascita del Cristianesimo, p 60-62; troviamo la frase per la prima volta nella tragedia Agamennone di Eschilo, del 458 a.C., poi in Pindaro, in Euripide…
(5) Lettera a Tito, 2,11
(6) 2Cor 4,14
(7) 1Cor 9,16.

Il teatro di Cesarea
 
Letto da 660  persone . Scrivi alla redazione un tuo commento
. Invia l'articolo ad un amico
. Stampa l'articolo
. Vedi tutti gli articoli dell'autore Floriana  Stevanin